Milano, picchia la moglie: bambino lo fa arrestare

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“Il fanciullo” scriveva in proposito più di sessant’anni fa il professor Benjamin Spock, “diventa più indipendente dai genitori, perfino più impaziente con loro. Si interessa di più a ciò che dicono e fanno i ragazzi più grandi, sviluppa un più forte senso di responsabilità in cose che egli considera importanti”. Parlava di senso di responsabilità, il professore, e lo faceva pensando a un ipotetico fanciullo, per usare ancora quel termine obsoleto, del tutto normale: un comune fanciullo. Questo non significa che in quel manuale di puericultura che è “Il bambino”, Benjamin Spock non abbia considerato anche tutte le possibili anomalie di una famiglia. Ci ha pensato eccome, infatti, perché ha scritto dei problemi legati ai viaggi e di quelli specifici dei gemelli, della separazione dei genitori, delle mamme impegnate nel lavoro, che ai figli lascia meno spazio, dei bambini che non hanno un padre, dei bambini adottati. Non gli è mai venuto in mente, però, di parlare dei problemi dei bambini che devono assistere a episodi di violenza quotidiani e che hanno per protagonisti i loro stessi genitori. Eppure, perfino quella può essere una delle prove – una delle più dure – che un fanciullo deve affrontare andando verso l’età adulta.
Non è un’ipotesi, purtroppo, perché lo scenario è quello di un recente fatto di cronaca avvenuto a Milano e che ha per protagonista una famiglia di cui fanno parte padre e madre (quaranta e trentotto anni) e i loro tre figli di sedici, sette e due anni. Non vivono tutti assieme, però, perché diverse incomprensioni e duri litigi hanno portato il maggiore dei figli a chiedere e ottenere di vivere con la nonna. Adolescenza incontenibile, verrebbe da ipotizzare, quasi con un’alzata di spalle, non fosse che le motivazioni di quella scelta trovano adesso una ipotesi di spiegazione molto meno digeribile.
È la sera dello scorso lunedì, a casa di questa famiglia, in via padre Pier Luigi Monti, quartiere Ca’ Granda, nord di Milano. Tutti hanno avuto la loro giornata, chi al lavoro, chi a scuola o all’asilo. Potrebbe essere una situazione come milioni di altre, in Italia: un pre serata in cui convivono attività ai fornelli, compiti, cartoni animati e giornali. In questa famiglia, però, le cose vanno in modo diverso, perché mamma e papà iniziano a discutere – e lo fanno sempre, si scoprirà poi – e l’uomo reagisce come proprio non si dovrebbe, iniziando a picchiare la moglie, senza preoccuparsi della presenza dei due figli. Il bimbo più piccolo, di due anni, osserva la scena, ma la sua età ancora gli consente quella imprecisa percezione della realtà che, in questo caso, è benvenuta come fosse acqua in mezzo al deserto. Il fratello, invece, è più grande, ha sette anni e, per lui, di acqua, non ce n’è affatto. Il deserto ha imparato a conoscerlo, perché non è la prima volta che il papà mette le mani addosso alla mamma. Chissà quante altre volte lo avrà già fatto, lasciando che i bambini vedessero tutto, confidando nel fatto che mandassero giù, addirittura imparando che un uomo che picchia una donna non è altro che la normalità.
Solo che un bambino di sette anni, “sviluppa un più forte senso di responsabilità in cose che egli considera importanti”, come scriveva il professor Spock, e non importa a cosa si riferisse, di preciso. Un bambino di sette anni non è un soprammobile e inizia a non essere più un individuo che si può plasmare come si vuole, perché ha una personalità e distingue il giusto dallo sbagliato. Fra le cose sbagliate, sbagliate di sicuro, sbagliate per istinto ancestrale, c’è il fatto che qualcuno possa fare del male alla mamma, di chiunque si tratti. La reazione di questo bambino è stata prodigiosa, perché, di fronte alla tremenda scena che si stava consumando davanti ai suoi occhi, ha deciso di agire con prontezza e lucidità. Ha cercato e trovato un cellulare e ha chiamato subito la persona, l’unica, che, secondo lui, avrebbe potuto aiutarlo, cioè la nonna, quella con cui vive anche il suo fratello maggiore, il terzo figlio della coppia. “Nonna, aiuto” sembra abbia detto al telefono “sta succedendo una cosa brutta”. È una definizione bambinesca, in effetti, che descrive molto bene la percezione di quella stortura, di quel qualche cosa che non torna, che non dovrebbe succedere, perché le cose non dovrebbero andare così. Un allarme molto efficace, in ogni caso, perché la nonna non ha perso neppure un secondo, contattando subito la polizia, che si è presentata poco dopo nell’appartamento, dove è stata necessaria un’occhiata molto rapida per capire cosa fosse successo. La moglie, con ferite e lividi quanto mai rivelatori, ha confermato di essere stata picchiata dal marito, raccontando infine che le violenze erano abituali, che andavano avanti da anni, ma che lei non aveva mai avuto il coraggio di denunciare l’uomo. Per quest’ultimo è scattato l’arresto immediato, mentre la donna è stata trasportata al Policlinico per la necessaria assistenza medica.
Grazie all’intervento del figlio di sette anni, la donna potrebbe mettere la parola fine ad un incubo sulle cui durata ed effettive dimensioni toccherà agli inquirenti fare luce, ma la sensazione e le premesse fanno pensare ad un caso grave di violenza domestica. La coppia era seguita dal Cps, il Centro Psico Sociale del Comune di Milano, una delle tante strutture che dovrebbero vigilare su situazioni di questo genere evitando episodi di violenza, ma che, stremate da una cronica assenza di risorse, agiscono nei limiti di ciò che è loro possibile fare. Quello che può rincuorare, in questa vicenda terribile, è il fatto che un bambino sia stato capace di reagire in un modo così efficace e coraggioso, facendo – come si dice – ciò che andava fatto. Non si può essere sicuri, del resto, che il trauma cui è stato sottoposto non possa lasciare segni anche in futuro e, nel caso, quali potrebbero essere le ripercussioni. Lui, come tutti i bambini della sua età, merita di crescere in un ambiente familiare sereno, per il quale non è richiesta certo la perfezione, ma dal quale è giusto sia bandita qualunque forma di violenza.