Casi di morti che non si decompongono

Casi di morti che non si decompongono

In quanto tempo un corpo si decompone? In media 8-10 anni, ma esistono corpi che non si decompongono.

La mummificazione o particolari condizioni ambientali e climatiche possono preservare l’integrità del corpo anche molti anni dopo la morte, ma escluse queste ipotesi è possibile che i corpi non si decompongano?

In anatomia è importante distinguere tra “decomposizione” e “scheletrizzazione” di un corpo. Con il primo termine si includono le prime fasi di putrefazione e corruzione di un corpo, mentre con il termine “scheletrizzazione” si intende la riduzione a scheletro di un corpo. L’inizio della decomposizione di un corpo può essere immediata o “ritardata” a seconda di determinate condizioni ambientali, la fase successiva è la scheletrizzazione che, spesso, impiega molti anni prima di completarsi.

È sempre più frequente sentir parlare di casi di morti che non si decompongono, vale a dire, defunti che vengono riesumati da 10 a 30 anni dopo la morte e risultano praticamente incorrotti, come se fossero stati sepolti poche settimane prima. Al di là dei casi di soprannaturalità conclamata (il caso più recente è quello di San Pio da Petralcina) e delle mummie danesi sepolte nella tomba che le ha mantenute immutate per secoli, come è possibile spiegare i casi di morti che non si decompongono rinvenuti un po’ in tutta Europa da Gravina in Puglia e San Donaci (BR) ad Amburgo in Germania?

Attualmente non esiste una spiegazione scientifica ufficiale, ma solo ipotesi da vagliare nel tempo e con metodo; l’unica cosa certa è che la mancata decomposizione è dovuta ad una quasi totale assenza di batteri necessari al processo di decomposizione. Tra le ipotesi avanzate si citano:

  • Aumento della concentrazione di azoto (gas liberato dai cadaveri) e metalli pesanti (come quelli usati per la cura dei denti) che frenano la decomposizione;
  • Aumento della siccità che priva l’ambiente dell’umidità necessaria per la vita dei batteri; o al contrario
  • Eccesso di umidità che distrugge i batteri;
  • Nuovi metodi di inumazione e chiusura stagna delle bare;
  • Alta presenza di “conservanti” nel corpo del defunto.

Quest’ultima ipotesi è la più discussa e discutibile, perché trova i suoi presupposti sul fatto che la dieta occidentale – a partire dagli anni ’60 del secolo scorso – si è arricchita di alimenti e cibi preconfezionati e privi di batteri o derivanti da animali allevati e nutriti con antibiotici, nonché il consumo di medicinali e prodotti chimici che impediscono la formazione dei batteri e che agiscono da “conservanti” nel nostro corpo anche dopo la morte, come se avessero subito un trattamento di mummificazione.

Qualunque sia la causa dei morti che non si decompongono, il fenomeno presenta delle oggettive difficoltà per i vivi: In Germania, oltre 40 cimiteri rifiutano nuove sepolture per mancanza di spazio e per l’impossibilità di liberare i loculi occupati per “colpa” dei cadaveri con non si decompongono. Si stanno adottando soluzioni “estreme” come l’uso di nuove bare o cambiare la legislazione locale accettando le sepolture “bio”, (senza bara, in natura o sotto alberi), o in sacchi di iuta o cotone. La Norvegia suggerisce le iniezioni di agenti chimici che accelerino il processo di decomposizione, l’Austria adotta le sepolture “multilivello”, dove i vecchi occupanti – seppelliti nel terreno – scendono di livello per dar posto ai nuovi.

Per quanto macabro, la scienza dovrà occuparsi anche di questo fenomeno, con il rischio di dover riscrivere i manuali di medicina legale e tanatologia.

Annalisa Maurantonio